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Le ragioni del garantismo nell’epoca del populismo penale

A cura del Prof. Vittorio Manes
La serata si apre con la spillatura di due nuove socie, l’Avv.ssa Maria Grazia Mazza e la Dott.ssa Sara Petersson.
Il Prof. Manes, ordinario di diritto penale all’Università di Bologna, che si sta occupando anche della riforma della giustizia con la Ministra Cartabia, introduce il tema della giustizia, che è centrale quanto il tema del PNRR.
Fino a quando possiamo considerare che una persona può essere ritenuta colpevole? Fino a che non compaiono i titoli sui giornali? È importante considerare l’influenza dei media.
Il tema della giustizia penale è sempre contaminato da pregiudizi.
Quando si parla di “giustizia” tutti sono abituati a determinare “colpevoli”.
La giustizia ha un apparato tecnico che non è proprio di tutti. Come una persona che non è medico non pone una diagnosi, si presenta lo stesso problema anche nella giustizia. Tutti giudicano.
Il populismo ha determinato una tendenza innata che viene dalla psicologia profonda a trovare un colpevole, un “capro espiatorio”.
Molti diritti nascono da errori giudiziari, come indica Alan Dershowitz nel libro “Rights come from wrong” (i diritti vengono dai torti), parlando nella fattispecie del caso Von Bulow.
Molti principi come la libertà – come diceva Calamandrei – cominciamo ad accorgerci di essi quando li perdiamo.
Per chi non fa la professione di avvocato penalista quando si è trascinati in una vicenda penale, ci se ne accorge quando è già troppo tardi.
Quando si legge su un giornale “Indagato per pedofilia”, si presume che l’imputato sia già colpevole.
Ma l’art. 27 c.p. dispone che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (presunzione di innocenza).
Il terzo comma dell’art. 27 dispone che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione” (norma posta a tutela dei danni più gravi).
I media sociali sono strumenti artificiosi di costruzione della realtà. Sono capaci di influenzare tutti se non si possiedono gli strumenti della giustizia.
Decalcificare le coscienze dai pregiudizi è quindi essenziale.
I giornali fotografano l’impressionistica delle indagini preliminari.
La gente tende a giudicare usando espressioni come “mettiamolo in carcere e buttiamo via la chiave!”. Ma occorre formare gli “anticorpi” culturali per evitare questi errori.
Abbiamo perso il contatto etico on i valori della nostra società. Un politico che reclama più pene, più punizioni ottiene più consenso. Si tratta di una sorta di marketing politico che crea molto consenso, molto “share” proprio perché fa appello a quella volontà di giudizio, a quella psicologia più profonda di ognuno di noi che, animata dal risentimento a causa delle ingiustizie vissute nella nostra società, chiede riscatto.
“Punire di più”, “la mafia è dappertutto”, “la corruzione è dappertutto” sono espressioni che ne illustrano un esempio.
Ma quanto c’è di realtà e quanto di enfatizzazione per riscuotere consensi in tutto questo?
Avvicinarsi ai temi della giustizia con un bagaglio di attrezzi più specifici senza lasciarsi andare a giudizi emessi con troppa faciloneria e sulla base di pregiudizi è fondamentale.
Quanto incide il moralismo sul giudizio penale?
Come ci dice Cesare Beccaria, lasciamo il giudizio penale alla giustizia, tendendo il moralismo da parte.