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La Commedia di Dante è davvero una Commedia?

Si è tenuta il 1° febbraio 2021 la serata dedicata a Dante in occasione del VII° centenario della sua morte, a cura del Prof. Angelo Maria Mangini, del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna.

Si è trattato di un interclub virtuale, di cui il Rotary Club Bologna Valle del Savena ha fatto da capofila nell’organizzazione. I club coinvolti ufficialmente nell’organizzazione dell’evento sono stati: per il Distretto 2072 Rotary Club Bologna, Rotary Club Bologna Ovest, Rotary Club Bologna Est, Rotary Club Bologna Sud, Rotary Club Bologna Valle del Samoggia, Rotary Club Bologna Valle dell’Idice, Rotary e-Club Bologna, Rotary e-Club Romagna, Rotaract Club Bologna Valle del Savena, per il Distretto 2080 Rotary e-Club Roma, per il Distretto 2090 Rotary Club Perugia, Rotary Club Pescara Nord, Rotary Club Tolentino e per il Distretto 2120 Rotary Club Venosa, per il Distretto 2060 Rotary Club San Donà di Piave. L’evento ha poi avuto una condivisione esponenziale riuscendo a far partecipare anche rotariani di altre zone d’Italia, da nord a sud sfiorando i 200 partecipanti.

Il Prof. Mangini inizia la serata invitandoci a riflettere su un quesito: “Pensiamo che il titolo di Divina Commedia” sia il titolo appropriato? Se si osservano i vecchi manoscritti trecenteschi il titolo appare dappertutto, su tutte le pagine dell’opera. Ma guardiamo l’incipit della Commedia dantesca, che secondo la pronuncia dell’epoca pare chiamarsi “Comedìa” e non “Commèdia”.

Si vede, su una delle pagine iniziali, un’immagine di Gerione, il custode dell’Inferno. La mostruosità del corpo cela di fatto un uomo normale, che ha la mansione di accompagnare Dante e Virgilio, e assieme a loro, anche il lettore dal girone delle male bolgie al settimo girone dell’Inferno.

Dante, scegliendo il termine “Commedìa”, giura al lettore sulla verità della propria opera. Infatti, nel “De vulgari eloquentia” il poeta distingue i diversi stili della lingua in tragico, comico ed elegiaco. Lo stile tragico è lo stile superiore che si esprime tramite il volgare illustre, alto e sublime, il comico è uno stile intermedio che si esprime tramite il volgare mediocre ed è contrassegnato da una varietà di stili. A differenza del tragico, il comico è da intendersi come uno stile che offre la possibilità di alternarsi tra i diversi stili a seconda delle realtà descritte. Lo stile elegiaco, invece è quello più basso di tutti, che si esprime tramite il volgare umile.

La “Comedìa”, realtà descritta da uno stile dimesso e umile, è, infatti, da riconoscersi nella realtà degradata dell’Inferno. Lo vediamo in maniera esplicita nella bolgia dei barattieri, dove si scorgono dei peccatori immersi nella pece bollente. I barattieri, in questa immagine, accompagnano Dante e Virgilio nel loro viaggio. Dante è preoccupato, Virgilio lo rassicura.

Il comico, come stile basso, è atto a rappresentare questa realtà infima e degradata (Canto XXI).

Dante non è entusiasta. Il gesto finale di Malacoda, il capo dei diavoli che “del cul fece trombetta” ci mostra, tramite questo esempio basso, come lo stile della “Comedìa” si attagli al testo dantesco.

Per capire il senso di questo stile, occorre distaccarsi dalla concezione odierna del termine “Commedia” e ritornare indietro nel tempo.

Abbiamo notato che questa definizione di stile è appropriata per la realtà descritta nell’Inferno. Ma è altrettanto appropriata per la realtà descritta nel Paradiso?

I contenuti e il testo sono come registro stilistico non compatibili con la definizione di “Comedìa”.

Uno stile alto, elevato riflette una realtà tipica dello stile tragico, proprio della “Tragedìa”.

Dal “De vulgari eloquentia” impariamo che lo stile tragico descrive la profondità del pensiero, la salvezza, l’amore e la virtù purché non siano sviliti. Si nota anche nell’altezza della costruzione e nell’eccellenza dei vocaboli scelti.

E’ qui che molti si sono chiesti se non fosse stato opportuno scegliere un altro titolo. Anche perché il poeta, nel testo del Paradiso, parla di “Poema sacro” o “Sacrato poema” (XXIII, XXV canto).

In queste scene, Dante immagina di tornare nella propria Firenze e di essere incoronato poeta accanto alla fonte battesimale dove fu battezzato.

Alcuni studiosi hanno proposto quindi di usare uno di questi titoli per tutta l’opera.

Ma il Prof. Mangini sostiene che il titolo scelto è giusto così com’è. Proprio perché è necessario ritornare alla definizione di Dante che abbiamo visto. Il comico, abbiamo detto, non è solo lo stile umile, ma anche quello stile più completo, capace di inglobare tutti gli stili e di raffigurare diverse realtà, è il punto di incontro tra tanti mondi e tante coloriture che si mescolano tra di loro.

Lo stile tragico è riservato agli argomenti più alti. Ma la “Comedìa” è l’opera dove la natura è aperta, inclusiva, polifonica, tipica del poema dantesco, che non è selettivo, ma inclusivo.

Raffigura una realtà che vede protagonisti i personaggi della classicità pagana e al contempo del Medioevo cristiano, un mondo che vede a riconciliazione tra queste due dimensioni. Si tratta di un mondo dove tutti concorrono al processo salvifico: grandi eroi e oscuri popolani, patrizi e plebei, personaggi veri e personaggi immaginari, lettori e personaggi dell’opera, dove la realtà si alterna alla finzione e dove si incontrano presente e passato.

E’ una polifonia, una coralità che si esprime anche nei momenti di conflitto, una musica che dalle scene di stridore conduce alle scene di salvezza. Dalla selva oscura si arriva all’esperienza ascetica. Dalla disperazione, il peccato, la miseria e l’infelicità si passa alla salvezza, alla felicità, alla vita eterna, e anche alla felicità sulla terra dal punto di vista morale. La traiettoria è comica.

E’ tipica della commedia perché, a differenza della tragedia, dove la realtà è felice e poi diventa tragica, si ha un incipit che rappresenta una realtà di violenza e di massacri dove gli innocenti subiscono i soprusi dei malvagi che sembrano essere i personaggi vincenti a una realtà immaginata da Dante dove si viene trasportati in un nuovo mondo in cui a vincere è la giustizia, la Divina Provvidenza.

E proprio la possibilità di arrivare ad un lieto fine è tipica della Commedia, teodicea. E l’opera dantesca è un tentativo di giustificare l’operato di Dio, che ci sta conducendo verso il lieto fine (in questo si vedono dei parallelismi anche con l’opera del Paradise Lost di John Milton, che secoli più tardi avrebbe trattato lo stesso tema).

La Divina Commedia è un’opera alla quale “Ha posto mano e cielo e terra”- Dante e Dio. E’ un poema comico, sacro, che dalla disperazione conduce “A riveder le stelle”.

Molto è stato l’entusiasmo da parte dei partecipanti, dai più grandi ai più giovani, i quali, nonostante il collegamento virtuale, hanno manifestato il loro interesse attraverso numerose domande che hanno ancora di più approfondito i temi trattati dal relatore.